La prevenzione del tumore prostatico attrae da sempre l’interesse della comunità scientifica.
A distanza di 27 anni dalla approvazione del PSA come potenziale strumento di screening nell’ambito del tumore prostatico da parte della Food and Drug Administration (FDA) ci sono stati ulteriori sviluppi? Qual è l’attuale stato dell’arte? Le nuove scoperte nel campo genetico quale ruolo hanno in questo ambito?
Prostata e tumore: 1 uomo su 7 può esserne affetto.
Il tumore prostatico è un problema sanitario di dimensioni più che considerevoli. Il rischio per un qualsiasi individuo di incorrere in una diagnosi di carcinoma prostatico nel corso della sua vita è stato stimato essere del 13%, mentre il rischio di morire per la stessa patologia si aggira attorno al 2,5%. Sulla base dei dati raccolti dal Global Cancer Observatory, al mondo nel 2018 sono stati registrati circa 1'276'000 casi di neoplasia prostatica, equivalenti al 7.1% di tutti i tumori diagnosticati in quell’anno a livello mondiale.
Fig1: Il cancro prostatico insorge tipicamente nella parte più periferica (lontana dall’uretra) della ghiandola prostatica.
Quanti tipi di prevenzione esistono?
Quando si parla di tumori (quello prostatico compreso) e di prevenzione occorrerebbe premettere alcuni concetti di base. È infatti importante sottolineare che esistono diversi tipi di prevenzione:
La Prevenzione Primaria di un tumore è la forma classica e principale di prevenzione: si focalizza sull'adozione di comportamenti e stili di vita in grado di evitare o ridurre l'insorgenza e lo sviluppo di una malattia o di un evento sfavorevole. L'obiettivo della prevenzione primaria dei tumori è quello di ridurre - o meglio evitare - l'adozione di comportamenti che rappresentano fattori di rischio e comporterebbero quindi l'insorgenza di tumori.
La prevenzione Secondaria si riferisce alla diagnosi tempestiva di una patologia, che permette di intervenire precocemente sulla stessa, ma non evitando o riducendo la probabilità della sua comparsa. La precocità di intervento aumenta le opportunità terapeutiche, migliorandone la progressione e riducendo gli effetti negativi. Sostanzialmente si tratta di individuare il tumore tra l'insorgenza biologica dello stesso e la manifestazione dei primi sintomi.
All’interno del concetto di prevenzione Secondaria sono contenuti i due concetti di Screening di popolazione e quello di Diagnosi Precoce.
Esiste anche quella che viene definita Prevenzione Terziaria (di cui non parleremo nella nostra trattazione), relativa non tanto alla prevenzione della malattia in sé, quanto ai suoi esiti più complessi. La prevenzione in questo caso è quella delle complicanze, delle probabilità di recidive di una pregressa malattia. È dunque legata al controllo delle terapie e della loro corretta assunzione, nonché alla gestione dei deficit e delle disabilità funzionali consequenziali ad uno stato patologico o disfunzionale.
Prevenzione Primaria: Stile di vita, nutrizione e farmaco-prevenzione.
Una grossa revisione della letteratura scientifica comprendente 176 meta-analisi riguardanti il tipo di dieta, il peso corporeo, l’attività fisica ed il rischio di cancro alla prostata non è riuscita a fornire delle evidenze scientifiche di qualità. Una dieta sana ed uno stile di vita attivo sono da considerarsi raccomandabili per la propria salute in generale, ma a quanto pare non sembrano diminuire il rischio di neoplasia prostatica.
Grande interesse in passato è stato rivolto agli integratori alimentari (i lavori scientifici più noti hanno riguardato la supplementazione con Selenio e Vitamina E), ma ancora una volta, nessuno studio ha evidenziato un chiaro beneficio, anzi: in uno studio risalente al 2011, la supplementazione con vitamina E sembrava associarsi paradossalmente ad un maggiore rischio di insorgenza di neoplasia prostatica.
Farmaci come la Finasteride e la Dutasteride, utilizzati normalmente nell’ambito terapeutico dell’iperplasia prostatica benigna, potrebbero essere utilizzati anche con il fine di prevenire la proliferazione neoplastica a livello della ghiandola prostatica.
Nella pratica clinica la farmaco-prevenzione non è mai realmente decollata: alcuni studi scientifici hanno sollevato alcune problematiche relate agli effetti collaterali legati all’assunzione di tali molecole (disfunzioni sessuali ed un paradossale più elevato rischio di insorgenza di neoplasie prostatiche di aggressività elevata).
Sempre in questo ambito, affascinante l’ipotesi introdotta da uno studio del 2016 che considera l’assunzione sempre più diffusa delle statine (farmaco utilizzato nel trattamento dell’ipercolesterolemia) come possibile responsabile del recente decremento della mortalità del cancro prostatico.
In ultima analisi, allo stato attuale, non sono raccomandate specifiche misure preventive o dietetiche per ridurre il rischio di sviluppare il cancro alla prostata.
Prevenzione Secondaria: cosa dicono le linee guida più aggiornate?
Come precedentemente esposto, in questo capitolo sono racchiusi due concetti differenti.
Lo screening di popolazione si definisce come “esame sistematico di uomini asintomatici” ed è una politica solitamente sostenuta dalle autorità sanitarie.
Al contrario, la diagnosi precoce consiste nell’identificazione di casi particolari/individuali ed è normalmente richiesta ed avviata dal paziente o dal suo medico.
Entrambi i concetti sono storicamente fondati su due strumenti fondamentali: l’esplorazione digito-rettale (ER) nell’ambito della visita urologica ed il dosaggio plasmatico del PSA.
Lo screening di popolazione a mezzo del PSA per il cancro prostatico è uno degli argomenti più controversi del panorama Urologico. Al giorno d’oggi lo screening di popolazione per la prevenzione del carcinoma prostatico non è previsto del Sistema Sanitario Nazionale Italiano.
Le linee guida più aggiornate della European Association of Urology (EAU) ribadiscono la non proponibilità dell’uso del PSA nello screening del carcinoma prostatico, mentre è meno controverso il suo uso nella diagnosi precoce, associato alla ER, nel singolo paziente ben informato.
Screening e diagnosi precoce: quali strumenti oltre al PSA?
È stato dimostrato che basare lo screening e la diagnosi precoce del cancro prostatico solamente sul dosaggio del PSA conduce alla esecuzione di biopsie prostatiche non necessarie ed alla diagnosi di neoplasie indolenti e non significative dal punto di vista clinico.
Il futuro della prevenzione secondaria della neoplasia prostatica si basa su quattro pilastri: i derivati del PSA, i markers urinari, la risonanza magnetica prostatica multiparametrica (mpMRI) ed i polimorfismi genetici.
Rispetto al solo PSA totale, la combinazione del PSA totale stesso con il rapporto percentuale fra PSA libero e PSA totale contribuisce a una maggiore specificità per la diagnosi di cancro alla prostata. Su tale rapporto (ed altre componenti, sempre dosabili attraverso un prelievo di sangue) sono infatti basati 2 test chiamati 4kScore e Prostate Health Index (PHI).
I test in questione sono opzioni disponibili in commercio per aiutare nelle decisioni iniziali (candidare oppure no un paziente alla biopsia prostatica) o ripetute sulla biopsia prostatica (per i pazienti in passato già sottoposti ad una biopsia prostatica, risultata negativa).
PCA3 è un marker urinario attualmente disponibile per guidare decisioni ripetute sulla biopsia prostatica. Sebbene PCA3 da solo abbia una capacità predittiva inferiore di malattia clinicamente significativa e richieda la raccolta di urina dopo l'esplorazione digito-rettale, può essere combinato con altri marcatori dosabili a livello urinario come TMPRSS2:ERG per migliorarne le prestazioni.
La mpMRI è annoverabile tra le armi a disposizione del clinico per una diagnosi precoce del tumore prostatico? Walllis et al. (“Role of mpMRI of the prostate in screening for prostate cancer”), hanno analizzato questa possibilità, sostenendo che fra gli uomini con PSA elevato mai sottoposti in precedenza ad una biopsia prostatica, la mpMRI ha dimostrato risultati più che promettenti sia nell’identificare sia nell’escludere una neoplasia prostatica.
Ci auguriamo che gli avanzamenti tecnologici di cui siamo spettatori possano rendere uno screening basato sulla mpMRI possibile nel futuro.
Al momento sono disponibili pochi dati per supportare un ruolo per i polimorfismi a singolo nucleotide (SNPs, vedi dopo) o altri marcatori sperimentali.
Genetica e cancro prostatico. Quale relazione?
Numerosi studi hanno valutato la relazione tra genetica e cancro prostatico studiando due tipi di mutazioni genetiche: quelle dei singoli geni e quelle degli SNPs (Single Nucleotide Polymorphisms, mutazioni puntiformi del genoma).
Attualmente sono stati identificati oltre 100 SNPs associati al cancro prostatico, studiati in popolazioni molto vaste. Sebbene numerosi fra questi siano stati opportunamente validati e confermati come predittori di malattia, nessuno di loro è stato preso in considerazione come punto di riferimento per elaborare delle nuove raccomandazioni riguardanti lo screening del tumore prostatico, per via del limitato valore predittivo.
Diversi studi hanno dimostrato un aumento del rischio di cancro alla prostata connesso a mutazioni di importanti geni responsabili dei meccanismi di riparazione del DNA.
I geni da ricordare, in quanto fra i più studiati in questo abito, sono BRCA2, ATM, CHEK2, BRCA1, RAD51D, e PALB2.
Al giorno d’oggi la genetica ha un ruolo nella prevenzione?
Le linee guida europee riportano che attualmente in commercio esistono e sono disponibili diversi pannelli di screening per valutare i principali geni di rischio. Ciò, assieme alle informazioni sopra riportate sembrerebbe in grado di costituire una opportunità per rimodellare il futuro della prevenzione secondaria del cancro prostatico. Sempre più forte è infatti l’evidenza scientifica che supporta l’implementazione anche nel contesto della diagnosi precoce del cancro alla prostata del counselling genetico e dei test genetici.
Allo stato attuale, però, nello specifico ambito dello screening e diagnosi precoce (nonostante la fiorente letteratura scientifica riguardante l’argomento) rimane ancora non chiaro quali test genetici utilizzare e qual è l’identikit del paziente che potrebbe beneficiare dei test in questione.
Ad ogni modo, le più recenti linee guida della European Association of Urology (EAU) offrono delle raccomandazioni generali (dunque non rivolte allo specifico ambito dello screening e diagnosi precoce), che consigliano in quali pazienti avrebbe senso ricercare le mutazioni più conosciute. Allo stato attuale, per i seguenti soggetti dovrebbe essere preso in considerazione il test genetico in grado di ricercare mutazioni nei geni responsabili della riparazione del DNA, BRCA 1/2:
Tabella 1 (I Candidati al test genetico per la ricerca di mutazioni nei geni BRCA 1 e BRCA 2)
L’IMPACT Study è uno studio assai recente (ancora in corso), da cui deriva una interessante applicazione concreta dei concetti esposti sino ad ora.
Se è vero che non è indicato uno screening a mezzo del PSA “a tappeto”, esiste una specifica popolazione di uomini più a rischio per la quale lo screening con PSA ha senso?
I risultati preliminari dello studio IMPACT dicono di sì, riferendosi specificamente alla popolazione dei soggetti portatori delle mutazioni BRCA2, testati per i motivi sopra esposti (vedi punti numero 3 e 4 dell’elenco puntato sopra esposto) e risultati positivi.
Per tali soggetti, raccomandano gli autori, deve essere garantito uno screening sistematico basato sul dosaggio del PSA.
Fig 2: La pagina web del sito ClinicalTrials.gov dell’IMPACT study, ancora in corso, il cui ultimo aggiornamento risale al Febbraio 2021.
Il ruolo della genetica nel vasto campo del carcinoma prostatico è senza dubbio vasto ed ha risvolti determinanti in numerosi aspetti della stessa patologia (etiologia, diagnosi, terapia).
Ciò che è certo allo stato attuale è che dal futuro ci si potranno aspettare sempre più lavori scientifici riguardanti la relazione tra genetica e prevenzione della neoplasia prostatica, aventi il fine ultimo di sviluppare nuovi paradigmi di screening e diagnosi precoce.
Comments