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Prostatite

Con il termine di prostatite cronica si indicano una serie di patologie riguardanti la prostata ad eziologia in gran parte oscura e la cui gestione rappresenta tuttora un vero dilemma per il medico. Il termine di sindromi prostatitiche croniche si adatta quindi meglio a tali patologie.

Epidemiologia

Essendo la definizione stessa della malattia non uniforme, i dati epidemiologici risultano molto scarsi. L’incidenza è stata stimata intorno al 6% mentre la prevalenza risulta essere di circa il 10%. La prostatite cronica rappresenta una causa estremamente comune di visita urologica (circa ¼ delle visite ambulatoriali), soprattutto nei soggetti prima dei 50 anni.

Classificazione

La classificazione tradizionale delle prostatiti comprende quattro diverse entità a seconda del quadro clinico e, soprattutto, degli esami cito-batteriologici dell’urina e del secreto prostatico (Tab.I)

Le forme croniche di prostatite sono rappresentate per il 90-95% dei casi dalla prostatite cronica non batterica e dalla prostatodinia. Recentemente la classificazione delle prostatiti è stata rivista dal National Institute of Health che ha proposto la suddivisione delle prostatiti in quattro tipi diversi, riunendo la prostatite cronica non batterica e la prostatodinia nella stessa categoria (III) ed aggiungendo inoltre una nuova entità, la prostatite asintomatica (IV) (Tab. II). La prostatite cronica non batterica e la prostatodinia presentano un quadro clinico simile e l’assenza di germi agli esami colturali rende pressochè analoghe le problematiche terapeutiche. L’introduzione del IV tipo di prostatite è giustificato dalla frequenza con cui focolai di prostatite vengono riscontrati all’esame istologico di biopsie prostatiche (eseguite per anomalie all’esplorazione rettale e/o per un aumento del PSA) o di adenomectomie o resezioni prostatiche per adenoma. La presenza di una classificazione internazionale risulta molto utile per poter parlare un linguaggio comune e confrontare i risultati terapeutici di diverse casistiche.

Eziologia

I fattori eziologici delle prostatiti croniche sono in gran parte oscuri fatta eccezione per la prostatite batterica cronica la quale rappresenta solamente una minoranza delle sindromi prostatitiche croniche. In tal caso gli agenti patogeni sono rappresentati per la maggior parte dei casi da Enterobatteriacee soprattutto Escherichia coli, che raggiungono l’uretra prostatica per via ascendente e penetrano nella prostata risalendo lungo i dotti ghiandolari. L’anatomia di tali dotti, con direzione orizzontale per quanto concerne la porzione periferica della ghiandola, rende ragione della più comune localizzazione dell’infezione in tale sede, piuttosto che in quella centrale. Il ruolo di batteri atipici, quali l’Ureaplasma Urealyticum e la Chlamydia è tuttora controverso. In considerazione delle difficoltà di isolamento di tali germi, alcuni Autori ipotizzano che possano essere gli agenti eziologici di almeno una parte delle prostatiti non batteriche.

L’andamento cronico dell’infezione può essere facilitato dall’impiego di una terapia antibiotica incongrua (sia come tipo di farmaco, con scarsa diffusione nella prostata, che come durata del trattamento) o dalla presenza di calcoli prostatici che possono proteggere i batteri dall’azione dell’antibiotico.

Per le prostatiti non batteriche sono state avanzate diverse supposizioni circa i meccanismi eziopatogenetici. Il reflusso di urina nei dotti prostatici potrebbe portare ad una reazione infiammatoria cronica, ovvero ad una “prostatite chimica” indotta dai componenti irritanti dell’urina. Alcuni Autori hanno avanzato la possibilità di una patogenesi auto-immune. Sicuramente importante è l’ipertono dei muscoli del pavimento pelvico e lo spasmo dello sfintere uretrale che rendono conto dei disturbi minzionali e dei dolori pelvici-perineali riferiti da questi pazienti e possono favorire il reflusso uretro-prostatico. Gli aspetti psicologici hanno una parte decisamente importante nell’inquadramento dei pazienti con una sindrome prostatitica cronica. Spesso risultano presenti alterazioni del tono dell’umore, somatizzazione ed esasperazione per una patologia invalidante e duratura per la quale il paziente, il più delle volte, ha già consultato diversi medici senza apprezzabili risultati terapeutici. E’ difficile comprendere se tale quadro psicologico sia la causa o la conseguenza dell’affezione prostatica. Tuttavia l’andamento altalenante dei disturbi, la relazione temporale che frequentemente si riscontra fra questi stessi ed alcuni eventi traumatici nella vita del paziente, rende ragione dell’importanza che occorre dare alla sfera psicologica nel trattamento di tali sindromi.

Sintomi e segni
Dal punto di vista del quadro clinico le prostatiti croniche sono accomunate dalla presenza, in grado variabile, di disturbi minzionali (pollachiuria, imperiosità, disuria, bruciore minzionale), algie pelviche, sovrapubiche, inguinali, perineali, irradiate ai genitali esterni, ematuria, emospermia, dolore durante l’eiaculazione. Possono essere presenti tenesmo rettale, disturbi dell’erezione ed una compromissione della fertilità. All’anamnesi occorre indagare riguardo a pregresse prostatiti acute ed infezioni delle vie urinarie, precedenti strumentazioni uretrali e stenosi dell’uretra, abitudini sessuali, attività lavorativa ed eventuali cause scatenanti i disturbi. All’esame obiettivo si possono riconoscere i segni di una pregressa flogosi degli epididimi mentre l’esplorazione rettale può riscontrare un ipertono sfinterico, una tensione dei muscoli pelvici mentre la prostata può essere dolorabile, di dimensioni e consistenza normali o aumentata di volume e di consistenza in modo diffuso o con dei noduli veri e propri simili ad una neoplasia. La spremitura della prostata può comportare la fuoriuscita di una secrezione dall’uretra (tale manovra è assolutamente da proscrivere nel caso di una flogosi acuta della ghiandola). I segni generali di infezione sono assenti (febbre, malessere generale, brividi, mialgie, cefalea) eccetto nel caso di una riacutizzazione di una prostatite batterica.

Esami diagnostici
L’esame cardine che consente di dimostrare la presenza di un’infezione o infiammazione prostatica è il test di Meares e Stamey che consiste nel raccogliere in contenitori sterili separati rispettivamente i primi 10 cc di urina, il mitto intermedio, l’eventuale secrezione derivante dal massaggio transrettale della prostata e gli ultimi campioni di urina dopo massaggio prostatico (Fig.1). Perché tale test risulti attendibile occorrono un’astinenza dai rapporti sessuali di 3 giorni, un’adeguata igiene dei genitali esterni ed un corretto massaggio prostatico. Un eventuale tampone uretrale non può essere effettuato in concomitanza con il test di Meares e Stamey. Se le urine del mitto intermedio risultano francamente infette (carica batterica > 105/ml) la diagnosi di prostatite associata non può essere ottenuta d’emblée. Occorre eseguire un’antibioticoterapia che risulti efficace solo per l’infezione vescicale e non per la sospetta prostatite (utilizzare ad es. Amoxicillina o Nitrofurantoina). Successivamente il test andrà ripetuto. Se l’urina del primo mitto presenta una carica batterica 10 volte superiore a quella del mitto terminale, si tratterà di un’uretrite. La presenza di leucociti in numero superiore a 10-15 per campo microscopico nel secreto prostatico o nell’urina del mitto terminale (dopo massaggio prostatico) confermerà l’esistenza di una flogosi prostatica. In tal modo è possibile distinguere le diverse forme di prostatite cronica. La ricerca andrà condotta nei confronti dei comuni germi patogeni e se possibile anche verso i batteri atipici, il cui ruolo nella eziologia della prostatica è tuttavia controverso, come già sottolineato in precedenza.
La spermiocoltura può risultare utile nel caso in cui non sia stato possibile effettuare il test di Meares e Stamey o esso sia risultato dubbio o negativo. L’interpretazione del risultato è resa difficoltosa da una possibile contaminazione da parte della flora uretrale e dall’origine multifocale dell’eiaculato (prostata, vescichette seminali, epididimi,...). La spermiocoltura è considerata positiva in presenza di una carica batterica superiore a 103/ml (germi patogeni) o a 104/ml (germi saprofiti). La presenza di leucociti è significativa se superiore a 106/ml. La sensibilità della spermiocoltura è inferiore a quella del test di Meares e Stamey per la diagnosi di prostatite cronica.
Il PSA può risultare incrementato (> 4 ng/ml) mentre il rapporto libero/totale generalmente fornisce risultati simili a quelli riscontrabili in presenza di una neoplasia (valori < 20%).
Il dosaggio delle immunoglobuline A e G nel liquido prostatico (elevate in caso di prostatite cronica batterica) può essere utile per controllare l’efficacia della terapia.
L’ecografia transrettale evidenzia generalmente una prostata ad ecostruttura disomogenea potendo rilevare delle calcificazioni, ma in definitiva non fornisce informazioni indispensabili per l’inquadramento della patologia.
La diagnosi differenziale deve essere posta con il tumore della vescica (soprattutto con il carcinoma in situ) e della prostata (nei casi dubbi al touché rettale occorre eseguire una biopsia prostatica), con la tubercolosi delle vie urinarie, con la stenosi dell’uretra e con patologie interessanti il segmento ano-rettale (fistole, ragadi anali, ...). Esami complementari potranno quindi essere rappresentati dai citologici urinari, dalla ricerca del bacillo di Koch nelle urine e nello sperma, dalla flussometria, dall’urografia con fase minzionale o dalla cistouretrografia retrograda.

Terapia
Il trattamento delle sindromi prostatitiche croniche è in buona parte sintomatico ed empirico ad eccezione dei casi di prostatite batterica cronica. In quest’ultima circostanza la terapia principale è antibiotica privilegiando quei farmaci che hanno dimostrato un’elevata penetrazione all’interno della prostata (Fluorchinoloni e Trimethoprim). La durata della terapia non è standardizzata ma è di almeno 1 mese (5 mesi secondo alcuni Autori). Essendo comunque una terapia di lunga durata, gli antibiotici andranno scelti anche in base al loro costo, alla tollerabilità ed alla possibilità di essere impiegati per via orale possibilmente con un numero ridotto di somministrazioni giornaliere. Vi sono controversie anche riguardo l’opportunità o meno di impiegare una terapia antibiotica nei casi di prostatite cronica non batterica. In tali casi alcuni Autori consigliano una terapia con Tetracicline o Macrolidi nella supposizione che siano implicati batteri atipici (ricordo che anche alcuni Fluorchinoli, tipo Ofloxacina e Ciprofloxacina, agiscono nei confronti di tali microrganismi). La terapia sintomatica si basa sull’impiego degli alfa-bloccanti, utili per alleviare i disturbi minzionali ostruttivi in caso di ipertono simpatico a livello della muscolatura liscia dell’unità vescico-prostatica, dei miorilassanti (Diazepam) per risolvere la contrattura algica della muscolatura pelvica e degli anti-infiammatori non steroidei. Comunemente vengono consigliati anche semicupi caldi e appropriate norme dietetiche (evitare cibi piccanti, alcolici, caffeina). Discreti risultati sono stati ottenuti con l’ipertemia transrettale e la termoterapia transuretrale. Nei pazienti con prostatodinia e con alterazioni del tono muscolare pelvico e sfinterico può risultare efficace la neuromodulazione delle radici sacrali, tecnica eseguibili in centri specializzati e che comporta l’impianto di un neurostimolatore nel sottocute dell’addome. L’attività sessuale deve essere incoraggiata piuttosto che repressa sconsigliando il coitus interruptus, ma soprattutto occorre rassicurare i pazienti circa la benignità della loro patologia spiegando la verosimile eziologia multifattoriale e la difficoltà della terapia. Con opportuna sensibilità è possibile consigliare al paziente un supporto psicologico spiegandone accuratamente le motivazioni.

Conclusione
In conclusione, le sindromi prostatitiche croniche presentano tuttora diversi aspetti enigmatici che ne rendono difficoltoso l’inquadramento nosografico e soprattutto la terapia, la cui efficacia rimane nel complesso modesta non potendosi escludere in alcuni casi un semplice effetto placebo.

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